martedì, dicembre 07, 2010

lo sguardo è mio

la recensione è di mio fratello, e dato che abbiamo gusti simili e di lui mi fido ve la giro per consigliarvi questa lettura




Una passeggiata nell'interiorità maschile

“Lo sguardo è il mio”. Con questa bella frase inizia l’ultimo libro di Duccio Demetrio, L’interiorità maschile – le solitudini degli uomini (Raffaello Cortina Editore). Lo sguardo è preoccupato e descrive in prima persona alcune scene emblematiche: a partire dalla sua esperienza di relatore a congressi, dibattiti, di animatore di situazioni di apprendimento riflessivo, Demetrio racconta di come debba constatare la scarsa presenza maschile a questo tipo di proposte.
Dove sono gli uomini? Possibile che degli uomini riflessivi, poetici, pensosi dei secoli passati non sia rimasto alcun sopravvissuto che partecipi in pubblico della propria interiorità? Possibile che lo spettacolo del maschile debba essere solo istrionico? Che la malinconia e la ricerca della solitudine siano rappresentate come perdenti? Che il maschio prenda parola pubblica solo se forte, estroverso, attore su un palcoscenico, maschera del potere, compulsivo itifallico marziale? Che non si realizzi un confronto pubblico di uomini sul maschile che non abbia come obiettivo il primeggiare?
Domande che ci poniamo anche all’interno della rete Maschileplurale di cui faccio parte, forse riflettendo sul maschile in termini più politici di quelli di Demetrio. Consideriamo anche noi necessaria una qualche trasformazione dell’orizzonte del maschile, affinché essere uomini oggi possa essere un’esperienza di confronto creativo e non distruttivo o revanscista.
La prima persona singolare, nel giro di poche pagine introduttive, si fa prima rada, poi diviene plurale per poi scomparire, sostituita dalla voce impersonale del filosofo e del letterato. Una certa attività di orientamento iniziale, di definizione dei termini della questione, di inquadramento è presente e completa: le considerazioni sulla violenza maschile, la critica ai modelli egemoni, l’evidenziarsi di una necessità di ripensamento, ormai urgente. Mi trovo d’accordo e sono soddisfatto e rassicurato, sia della mia che della sua preparazione in materia. Mi lascia perplesso la scelta di nominare “maschi” gli uomini deteriorati dalla mancanza di riflessione e di profondità, esclusivamente orientati al fare e all’accumulare, e “uomini” i silenziosi, riflessivi, orientati ad un fare poetico, per i quali Demetrio suggerisce di riscoprire il valore della “nobiltà d’animo”, termine che urta la mia sensibilità post-moderna. Sono resistenze superabili e aderisco alla proposta di navigare a vista, approdare qui e là nell’arcipelago della sua cultura, senza preoccuparsi troppo di offrire una sistematizzazione teorica del maschile o di completarne l’enciclopedia.
Poi, il rimando ad una galleria di personaggi mitologici, letterari, di figure fittizie, di ritratti dipinti raccontati a voce, di invenzioni, compone una ricognizione ricca e problematica. Demetrio sembra osservare l’abbozzarsi di una possibile configurazione, trarne delle considerazioni, salpare di nuovo per altre suggestioni. Non sembrano veramente argomentazioni che si preoccupino di essere esaustive, filologiche, tassonomiche e mi sembra un pregio. Il semplice accostare la filigrana delicata di queste figure alle maschere tronfie e patetiche della mascolinità esibita nella comunicazione di massa, nella politica del burlesque e del grottesco, è già di per sé un esercizio di critica. Non c’è bisogno di diventare prolissi. La scrittura sembra essere più frutto di associazioni mentali di una mente nutrita e coltivata di letture valide e forti, di riflessività, di interrogativi, di dubbi.
Abituato come sono alla condivisione e all’autocoscienza maschile, una parte di me chiede al testo di tornare a nominare il soggetto che lo scrive, per dare veramente validità alla ricerca. Sono convinto che sia un errore proporsi di generare conoscenza e sapere sul genere, allontanandosi dal proprio racconto autobiografico e senza ribadire di essere soggetti parziali. Ma Demetrio è un filosofo colto e, come altri filosofi e altre filosofe hanno fatto, si permette di nascondersi, o di svelarsi appena appena nelle rare prime persone plurali, nelle scelte letterarie e artistiche, nell’immaginare. Se questo libro non fosse un libro, ma un manoscritto, la copia unica ed originale della trascrizione dei suoi pensieri, che girasse di mano amica in mano amica, sarebbe stato diverso. Invece è un libro, l’edizione del sé particolare che diventa generale, nelle sue tante copie stampate. E il libro mi sfugge.
Sono partito in quarta, ma mi interrompo sovente, spaesato. Sicuramente è un libro alla cui lettura nuoce la frenesia delle mie giornate piene. Arrivo ad aprirne le pagine la sera, portandomi dietro l’inerzia della mia velocità. Una frenata troppo brusca. Penso di tradirne il ritmo lento, nell’ansia di divorarlo. Mi arrabbio con me stesso: il contenuto del libro e il suo stile mi stanno alla lunga mettendo in difficoltà. Sono distratto dall’urgenza di capire il meccanismo, il disegno del libro. Alla fine del libro, sono spossato, turbato. Quando ne parlo dico “E’ un libro strano”. Chiedo aiuto alla mia rete maschile, invito al confronto e alla discussione sul testo, ma non ho ad oggi risposte articolate che mi indirizzino verso una critica più elaborata e sensata.
Non è facile per me leggere le parole di un altro uomo che parla del maschile. Su questo tema, ovviamente, ciascun uomo si sente un esperto. Possiamo affrontare da veri uomini tutte le avventure, qualsiasi luogo ignoto, ma non la vergogna del guardarci dentro, scoprirci miserelli e non accettarlo, né è facile ammettere che la maschera che ci siamo costruiti sia la parziale risposta ai nostri specifici bisogni e non un’esemplare realizzazione di un archetipo maschile, ovviamente la migliore. L’ermeneutica del testo si è attivata quindi come scorciatoia verso una sua assimilazione, disinnesco e accantonamento: competizione e senso di minaccia insieme, a difendere la mia personale teoria del maschile.
Ecco, forse è questo il problema che si può presentare ad un uomo nel leggere qualsiasi libro scritto da un altro uomo sulla mascolinità: che esso appaia presuntuoso, sia che ripeta la filastrocca tradizionale, sia che proponga ardite visioni innovative. A meno che non si sia affascinati dal maschio totalitario e si decida di seguirlo come modello, come un piccolo padre. Mi dà fastidio, forse provo invidia, per un uomo in posizione autorevole che si permette di dare un’altra versione, pur elaborata e complessa, dell’essere uomini: lo scattare del condizionamento alla competizione deprime la mia capacità di ascoltare e svela tutte le mie insicurezze.
Tutti gli uomini, mi viene da dire, stanno cercando ai giorni d’oggi di elaborare una nuova versione dell’essere maschi , anche quelli che ripetono all’ossessione, fino all’urlo proprio e altrui, la marcetta del maschio per diritto naturale dominante e conquistatore. Il mio allarme allora è nel sentire la minaccia di un pensarsi maschile più ricco e più eterogeneo di quanto io sia in grado di fare: questo mi spaventa, mi sembra di perdermi. Incomincio a pensare che lo spaesamento che provavo nella mia lettura derivi dalla molteplicità presentata nel libro, anche nel territorio di possibilità antagoniste alla mascolinità oggi egemone. La pluralità spaventa, rattrista la consapevolezza di non trovare mai un approdo, un ruolo da imparare a memoria tanto da diventare un simulacro di identità che riempia il silenzio del nostro corpo.
Demetrio indica un possibile percorso che rivolga verso la propria interiorità gli interrogativi e le insoddisfazioni, costitutive della nostra vita di uomini sempre in difetto perché incapaci di generare. Rivolgersi verso l’interno vuol dire tornare sui propri passi, soprattutto autobiograficamente. Le parole preziose dei poeti, degli uomini sensibili, ci possono aiutare a nominare il nostro paesaggio interiore e a diventare anche capaci di apprezzare il silenzio e la solitudine, prima di tutto quella del nostro corpo maschile. Mai potremo essere dimora di un’altra presenza, mai potremo sperimentare la connessione vivente e continua della propria carne con altrui carne, l’una dipendente dall’altra. Siamo stati educati a trasformare questo vuoto in una bulimia di conquiste, conferme e compensazioni esteriori. Se dirigessimo invece la nostra esplorazione all’interno di noi stessi, forse anche per noi ci sarà modo di trovare un senso alla nostra condizione maschile. E se questa ricerca la rendessimo parola condivisa, resoconto di viaggio da scambiare con altri esploratori, senza indulgenze nei confronti della tentazione di gareggiare andrologicamente, si potrebbe creare il terreno per una nuova convivenza tra uomini e con le donne.


Massimo Michele Greco


tratto da Dea donne e altri

10 commenti:

Tizyana ha detto...

Un libro di uomini da regalare anche alle donne.

Vincenzo Cucinotta ha detto...

Il testo è lungo ed anche abbastanza complesso. Malgrado non abbia ora il tempo per leggerlo con maggiore attenzione, trovo l'argomento interessante. Farò quindi due osservazioni, in qualche modo indipendentemente dalle opinioni espresse.
1) Dopo un amore iniziale per Freud, in età giovanile, sono poi pervenuto ad assumere un atteggiamento scettico sull'introspezione, sul leggere dentro noi stessi, che ritengo un'attività intrinsecamente non obiettiva, come se prendessimo ciò che appare e ci ricamassimo sopra, senza tuttavia penetrare in quella realtà più profonda a cui vorremmo pervenire.
2) L'intimo non può, o forse non deve esere esposto, pena non essere più intimo. E' l'esposizione in sè che non può evitare di divenire esibizionismo. La mia intimità non la do' in pasto al pubblico, la posso condividere con i miei affetti più cari e soltanto con loro. Questo è secondo me un atteggiamento autenticamente virile, questa maturità di manifestarsi per atti e non attraverso questo che diventa un parlarsi addosso.

Paolo Ferrario ha detto...

buongiorno zephyrina
mi affaccio al tuo blog per segnalarti (avendo molto apprezzato quella di massimo michele greco) anche la mia recensione al libro di duccio demetrio:
http://polser.wordpress.com/2010/12/02/paolo-ferrario-riflessioni-seguite-alla-lettura-di-duccio-demetrio-l%E2%80%99interiorita-maschile-le-solitudini-degli-uomini/
ho rilanciato per accenni e rinvio il tuo post qui:
http://polser.wordpress.com/2010/12/07/massimo-michele-greco-scrive-su-duccio-demetrio-linteriorita-maschile-raffaello-cortina-2010/
buoni giorni
paolo ferrario

silvano ha detto...

Un libro di uomini che pochi uomini leggeranno. A me Freud è sempre piaciuto e gira e rigira aveva una gran fetta di ragione. Non c'è solo l'invidia del pene ma c'è per gli uomini l'onere del pene e l'incapacità di vedere oltre con chiarezza a quest'ombra (questa sì gigantesca)creata dal pene stesso.
ciao.

Adriano Maini ha detto...

Devo rileggere bene! E', tuttavia, un utile elemento di confronto.

zefirina ha detto...

tyziana io sono sempre curiosa di leggere di uomini che scrivono su uomini e quindi me lo compreroò

@vincenzo io non ho mai fatto analisi di tipo freudiano ma il leggere e conoscere sè stessi è stato per me sempre quasi un imperativo e scambiare conoscenza, parole sul proprio e sull'altrui intimo un modo per imparare, per capire anche l'altro

@paolo verrò di certo a leggere anche la tua recensione

@ciao silvano, per fortuna l'invidia del pene è durata poco, il tempo di crescere e capire che noi donne abbia alcuni punti di forza a cui non rinuncerei di certo

@adriano ecco hai usato le parole giuste: elemento di confronto, è questo che mi piace

Massimo ha detto...

Grazie all'ospitalità della sorellina, ho l'opportunità di leggere degli interessanti commenti...

@Tizyana: sono curioso di sapere cosa ne pensano le donne di questo libro. Qualcosa che vada oltre il prevedibile "Seee... Magari"

@vincenzo: ma l'attività di introspezione, avvenendo per definizione "dentro al soggetto", come può essere "oggettiva"? Eppoi, le attività soggettive sono meno valide? Comunque... "Realtà profonda" è una modo di dire di uso comune, che preso alla lettera di "reale", ossia di afferrabile, certo, concreto, ha veramente poco. Eppoi: non ho dubbi che per un uomo di stampo tradizionale (non mi riferisco a te) il silenzio su se stessi, il non condividere, se non nel chiuso delle relazioni più fidate, la propria interiorità è ciò che li fa sentire "autenticamente virile". La posizione di Demetrio, e anche la mia, è antagonista a questa concezione. Il problema infatti è capire quali e quanti sono oggi i contesti dove l'uomo accede alla propria interiorità. E se i modelli imperanti di mascolinità non ostacolino (sicuramente non promuovono) questo tipo di percorsi. Chiudo dicendo che "esibire" la propria interiorità anche per me è una cosa disdicevole; condividere e confrontarsi è bello e si impara molto.

@paolo: ho letto la tua recensione con interesse, anche perchè hai colto elementi che non avevo considerato.

@silvano: finita l'invidia del pene delle donne, forse tocca a noi uomini scoprire l'angoscia di non avere un utero e di non essere in grado di generare?

per chi fosse interessato/a a navigare nella questione maschile, segnalo il sito della rete di uomini di cui faccio parte
www.maschileplurale.it

il monticiano ha detto...

E io mi fido di entrambi anche perché ho letto questo post che ho trovato molto interessante.

Alberto ha detto...

Il libro mi sembra di quelli che portano alla meditazione, quanto mai necessaria in questi tempi distratti.
Però quando leggo
"E se questa ricerca la rendessimo parola condivisa, resoconto di viaggio da scambiare con altri esploratori, senza indulgenze nei confronti della tentazione di gareggiare andrologicamente"
penso alle donne che hanno imitato i maschi a gareggiare.

Tintarella di... Luna ha detto...

eeeeeh è un grande fratello, poi le edizioni hoepli mi piacciono tanto!!!