le città dei matti
Mi è passato anche per la testa l'agghiacciante pensiero che in quei tempi bastava poco per finire in quei posti, mi sono tornati in mente altri film: la fossa dei serpenti, ragazze interrotte, qualcuno volo su nido del cuculo, fino al recente si può fare.
Ancora oggi c'è chi dice che chiudere i manicomi è stato uno sbaglio, che molte famiglie hanno faticato a contenere i familiari con forti disagi psichici, a mio modesto parere la legge è giusta ma come spesso accade non è stata applicata nei modi adeguati.
Un malato di mente entra nel manicomio come ‘persona’ per diventare una ‘cosa’. Il malato, prima di tutto, è una ‘persona’ e come tale deve essere considerata e curata (...) Noi siamo qui per dimenticare di essere psichiatri e per ricordare di essere persone"
Dal momento in cui oltrepassa il muro dell’internamento, il malato entra in una nuova dimensione di vuoto emozionale (... ) viene immesso, cioè, in uno spazio che, originariamente nato per renderlo inoffensivo ed insieme curarlo, appare in pratica come un luogo paradossalmente costruito per il completo annientamento della sua individualità, come luogo della sua totale oggettivazione. Se la malattia mentale è, alla sua stessa origine, perdita dell’individualità, della libertà, nel manicomio il malato non trova altro che il luogo dove sarà definitivamente perduto, reso oggetto dalla malattia e dal rimo dell’internamento.
L’assenza di ogni progetto, la perdita di un futuro, l’essere costantemente in balia degli altri senza la minima spinta personale, l’aver scandita ed organizzata la propria giornata su una dimensione dettata solo da esigenze organizzative che – proprio in quanto tali – non possono tenere conto del singolo individuo e delle particolari circostanze di ognuno: questo è lo schema istituzionalizzante su cui si articola la vita dell’asilo. La nuova recluta, al momento del suo ingresso nel complesso sistema del ricovero, deve lasciarsi alle spalle ogni legame che non può più mantenere, ogni progetto che non può più attuare, la vita che non può vivere perché l’ospedale stesso gli impedisce di continuare a porsi in situazione, di proiettarsi nel futuro, inibendogli la “conquista” della propria soggettività. Il malato mentale, chiuso nello spazio angusto della sua individualità perduta, oppresso dai limiti impostigli dalla malattia, è spinto dal potere istituzionalizzante del ricovero ad oggettivarsi nelle regole stesse che lo determinano, in un processo di rimpicciolimento e di restringimento di sé che – originariamente sovrapposto alla malattia - non è sempre reversibile.
Franco Basaglia
Direttore Ospedale Psichiatrico Provinciale di Gorizia
1964
10 commenti:
anche io l'ho trovata a tratti un po' melensa e non credo che un tema così difficile possa essere affrontato solo come "narrazione".
mi proponevo un post sul tema ma il tuo ha già risposto
marina
Sicuramente un poco melensa, ma ha avuto la capacità di riportarmi alla mente le pulsioni sociali e politiche che attraversavano la società italiana di quell'epoca.
Non ho visto la fiction, ma ricordo le atmosfere di quei tempi, che mi sembravano di grande liberazione.
Io che detesto le fiction, in qualunque salsa vengano propinate, questa l'ho seguita volentieri. Perché il tema era importante e perché l'ho trovato ben trattato, nonostante fosse evidentemente aderente alle esigenze di un pubblico da prima serata tv.
Quel che è mancato, ma in uno sceneggiato in due puntate si poteva fare diversamente, è stato a parer mio uno spazio adeguato a quanto accadeva alle spalle di Basaglia, a Roma. Perché il dibattito, in quegli anni, era acceso e ostile, forse molto più di quanto lo sceneggiato non abbia lasciato comprendere. Come Tina Anselmi, in tv, appena accennata e incomprensibile a chi all'epoca non c'era.
Comunque a chi ha diretto e a chi ha interpretato il merito di riaprire delle pagine fondamentali nella nostra storia.
E non è un caso che non son la sola ad aver rimesso sul comodino le libere donne di magliano.
ciao e scusa lo sproloquio
uff, l'italiano è andato a farsi benedire.
rifo, un pezzo:
[...]Quel che è mancato, ma in uno sceneggiato in due puntate si poteva fare diversamente?, è stato a parer mio uno spazio adeguato a quanto accadeva alle spalle di Basaglia, a Roma. [...]
[...]Comunque a chi ha diretto e a chi ha interpretato il merito di aver riaperto delle pagine fondamentali nella nostra storia. [...]
sì alcuni argomenti sono stati appena sfiorati ma forse l'intenzione era semplicemente quella di riportare l'attenzione su questo tema ancora oggi discusso
l'italiano non è andato a farsi benedire solamente abbiamo ascoltato una pronuncia diversa dal siciliano, napoletano, romano.
la fiction ha reso molto bene la situazione nei manicomi, bravissimi gli attori.
oggi siamo al lato opposto: la malattia mentale non esiste più. chissà forse potrà servire per prendere coscienza che esiste ancora e si chiama droga, alcol, vita smodata, depressione.
Per l'anonimo: l'italiano che è andato a farsi benedire era il mio, per il commento precedente, scritto al volo, senza rileggere e infarcito di refusi. Scusa!
sicuramente un argomento importante...che fa riflettere ...!!
Ne ho visto solo 5 minuti, quindi non posso dire, ma l'attore che interpretava Basaglia l'ho però trovato credibile, sarà che m'ha colpito la parlata veneta, sarà stato quel famigliare "ma va in mona" indirizzato al barone di turno per dirla alla Camilleri mi faceva sangue.
Quanto alla legge 180 la trovo di rara civiltà e ancora oggi moderna ed avanzata. Certo i problemi ci sono ma solo perchè la 180 non è mai stata applicata correttamente, certo non per colpa di Basaglia nè della legge, ma per la solita cialtroneria della classe politica italiana.
ciao.
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