lunedì, novembre 13, 2006

il dolore

Il dolore risulta essere un posto che nessuno conosce finchè non ci arriva.
Ci potremmo aspettare, se la morte è improvvisa, di avere uno choc. Non ci aspettiamo che questo choc sia obliterante, disarticolante per il corpo e per la mente. Ci potremo aspettare di essere prostrati, inconsolabili, sconvolti dalla perdita, Non ci aspettiamo di impazzire, di impazzire letteralmente, di diventare ossi duri... Nella versione del dolore che immagianiamo, il modello sarà la guarigione. Prevarrà un cenrto movimento in avanti. I giorni peggiori saranno i primi. Si immagina che il momento più difficile sarà il funerale, dopodichè avrà luogo questa ipotetica guarigione. Quando pensiamo al funerale ci chiediamo se "ce la faremo ad arrivare alla fine", se saremo all'altezza, se mostreremo la "forza"che invariabilmente viene indicata come la corretta reazione alla morte. Si pensa che dovremo temprarci per l'occasione: sarò in grado di ricevere la gente, sarò capace dil lasciare la scena, sarò capace, quel giorno, di verstrmi? Non abbiamo modo di sapere che il problema non sarà questo. Non abbiamo modo di sapere che lo stesso funerale sarà anodino, una sorta di narcotica regressione in cui ci affidiamo alle cure degli altri e siamo completamente assorbiti dalla gravità e dal significato dell'occasione. Nè possiamo conoscere prima del fatto (ed è questo il cuore della differenza tra il dolore come lo immaginiamo e il dolore com'è) l'interminabile assenza successiva, il vuoto, l'esatto contrario del significato, l'inesorabile successione dei momenti in cui ci troveremo ad affrontare l'esperienza della mancanza stessa di significato.
.....

Non c'è nessuno che possa ascoltare questa notizia, non ci sono posti dove andare con i piani non fatti, non c'è nessuno con cui essere d'accordo, nessuno da cui dissentire, a cui rispondere. "Credo di cominciare a capire perchè il dolore mi tiene in questo stato d'incertezza" scrisse C.S.Lewis dopo la morte della moglie. "Nasce dalla frustrazione di tanti impulsi che erano diventati abituali. Un pensiero dopo l'altro, un sentimento dopo l'altro, un atto dopo l'altro, tutti avevano come oggetto H. Ora il loro bersaglio se ne è andato. Io continuo a incoccare la freccia per la forza dell'abitudine, poi mi ricordo e devo deporre l'arco. Tante strade portano i miei pensieri a H., io ne imbocco una. Ma ora è bloccata dalla sbarra di un'intransitabile frontiera. Tante strade una volta; oggi tanti vicoli ciechi"

da L'anno del pensiero magico di Joan Didion

Nessun commento: